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La nanomedicina nasce dall’applicazione di nanotecnologie e nanoparticelle in ambito clinico. Rispetto alla medicina tradizionale permette di agire in maniera più specifica.

Il concetto alla base della nanomedicina è quello di operare alla nanoscala, nella quale i materiali sono caratterizzati da proprietà uniche, assenti invece alla scala macroscopica. Le cosiddette nanoparticelle presentano dimensioni tra 1 e 100 nm, dove un nanometro corrisponde ad un miliardesimo di millimetro.

Fig 1. Scala dei nanometri (fonte: https://www.swissinfo.ch/ita/tecnologie-e-medicina_-le-nanotecnologie-sono-le-medicine-del-futuro-/46951124).

Grazie alle loro molteplici applicazioni, le nanoparticelle, rappresentano un valido mezzo nella cura di malattie ancora oggi pericolose. Vengono sfruttate nella diagnostica, nel trasporto di farmaci, nei vaccini, nelle protesica, ma anche nella medicina rigenerativa.

Come nasce la nanomedicina

Se il primo riferimento alle nanotecnologie risale al 1959 con il discorso del fisico statunitense Richard Feynman “There’s plenty of room at the bottom” (traducibile con “C’è un sacco di spazio giù in fondo”), le prime applicazioni in ambito medico risalgono agli anni ‘70, a seguito dello sviluppo di dispositivi ultramicroscopici.

Nasce così la nanomedicina, un settore in via di sviluppo, con forte impatto sociale.

Fig. 2. Microscopio ottico (fonte: pixabay).

Nanoparticelle antitumorali

In generale, le nanoparticelle si distinguono, a seconda del materiale usato, in organiche e inorganiche. In campo medico le prime nanoparticelle studiate sono state i liposomi. Si tratta di membrane fosfolipidiche con dimensioni tra 25 e 1000 nm, usate come veicoli di farmaci in quanto caratterizzate da un nucleo capace di incapsulare molecole attive. I liposomi possono essere iniettati nel sangue, in modo da circolare e agire selettivamente su un tessuto tumorale.

Successivamente, con la medesima funzione di drug delivery, sono state studiati i polimeri, in quanto materiali più stabili. Anche in questo caso il farmaco è incapsulato nel core, mentre la superficie può essere funzionale o meno.

Citando Paul Ehrlich, fondatore della chemioterapia, le nanoparticelle si comportano come ‘magic bullet (traducibile con ‘pallottola magica’), in quanto mirano singolarmente ad un agente patogeno, senza intaccare cellule sane.

Una volta inserite nel circuito sanguigno, tendono ad accumularsi e rilasciare il farmaco in loco, in modo da evitare tutti quegli effetti collaterali legati, ad esempio, ad un tradizionale chemioterapico.

Barriere fisiologiche e targeting

Nell’ambito del trasporto di farmaci, i nanovettori devono  essere in grado di attraversare correttamente le barriere fisiologiche e garantire il targeting del farmaco verso il tessuto tumorale.

Innanzitutto si distingue il targeting passivo da quello attivo. Il primo si riferisce all’accumulo di nanoparticelle nel microambiente tumorale.

Il targeting attivo, invece, richiede una funzionalizzazione della superficie delle nanoparticelle per mezzo di anticorpi che si legano selettivamente con il ricettore della cellula tumorale.

Tuttavia, bisogna evitare che le barriere fisiologiche ostacolino il transito delle nanoparticelle. Ad esempio, a protezione del cervello è presente una barriera emato-encefalica, o gli stessi vasi sanguigni.

Fig. 4. Nanoparticelle distribuiscono farmaci nel cervello CORDIS (fonte: https://cordis.europa.eu/article/id/415498-nanoparticles-deliver-drugs-directly-to-the-brain/it)

Bisogna tener conto anche della biodistribuzione: le nanoparticelle, in circolo nel sangue, possono essere raccolte nella milza e nel fegato, dove è favorita la fagocitosi, ovvero la distruzione delle stesse.

Nanoparticelle inorganiche

Di particolare interesse sono le nanoparticelle a base metallica legate a diversi tipi di applicazioni. Sono usati come agenti antitumorali, ad esempio, i nanotubi di carbonio, le nanoparticelle di oro e di silice. Un trattamento sperimentale è quello di indurre artificialmente ipertermia (elevato aumento di temperatura) nei tessuti tumorali.

Fig. 5. Nanoparticella di oro.

Un’ulteriore applicazione riguarda il campo della diagnosica, si tratta dei quantum dots, nanoscristalli semiconduttori che una volta eccitati con una radiazione emettono fluorescenza. Vengono usati, quindi, come agenti di contrasto nell’imaging di cellule e tessuti biologici.

Fig. 6. Particelle di calcio fosfato come agenti di contrasto. (fonte: https://www.istec.cnr.it/ricerca/linee-di-ricerca/salute-e-benessere/nanomedicina/nanoparticelle-magnetiche-per-la-diagnostica/).

Altri tipi di nanoparticelle metaliche, come quelle di argento, vengono usate in dispositivi medici, ad esempio nei cateteri, per la loro resistenza alla produzione di biofilm e per le proprietà antibatteriche.

Le nanomedicina del futuro

Dal discorso di Feynman ad oggi sono stati fatti enormi progressi sullo studio delle nanotecnologie, la nanomedicina è uno dei risultati più esplicativi. Le scoperte che sono state fatte sono numerose: dai nanorobot, alle nanostrutture per sostituire tessuto umano, dalle nanotubi in oro alle nanoparticelle per la cura del Parkinson.

Il campo della nanomedicina è tanto importante quanto futuristico e per questo in rapida ascesa.

Raffaella Lobello

Per

Redazione NINE

FONTI

Fattal, E., Tsapis, N. Nanomedicine technology: current achievements and new trends. Clin Transl Imaging 2, 77–87 (2014). https://doi.org/10.1007/s40336-014-0053-3

Seminario “Nanomedicine: principles and applications” del prof. Cellesi Francesco (Politecnico di Milano)

Con questo articolo, la Redazione di NINE comincia la sua attività divulgativa delle nanotecnologie attraverso articoli scientifici, e lo fa introducendo uno dei vari ambiti in cui le nanotecnologie rivestiranno via via un ruolo sempre più importante: lo sviluppo di tecniche per il trattamento di agenti inquinanti che possano soddisfare tutti i requisiti tecnologici necessari, rispettando al contempo l’ambiente.

La comunità mondiale, al giorno d’oggi, è ormai unanimemente concorde sulla necessità di sviluppare politiche sociali, economiche e tecnologiche che mettano il rispetto per l’ambiente al centro della loro pianificazione. Le enormi quantità di materiali inquinanti e spesso tossici, rilasciati ogni giorno dalle attività antropogeniche, rappresentano delle grosse minacce per l’ecosistema, e in modi più o meno diretti causano gravi problemi di salute all’uomo stesso. Queste sostanze nocive possono essere di moltissimi tipi diversi, e molte di esse sono sostanze con cui interagiamo anche nella nostra vita quotidiana: gas serra, composti volatili e bioaerosol nell’aria; metalli pesanti e fluidi reflui nel suolo; patogeni e, nuovamente, metalli pesanti nell’acqua.

Le tecnologie “tradizionali” sviluppate in passato, che oggigiorno rappresentano la stragrande maggioranza delle tecniche implementate a livello industriale, purtroppo presentano difetti generali che, al netto delle loro caratteristiche peculiari, le rendono inadatte sia da un punto di vista tecnico che, a volte, anche economico. Le nanotecnologie, però, possono andare oltre questi limiti: i materiali che si possono ottenere così (con dimensioni che arrivano alle centinaia di nanometri) posseggono proprietà uniche rispetto alle controparti macroscopiche, proprietà che li rendono particolarmente adatti a funzioni specifiche in cui è richiesta una grande sensibilità.

Considerata la grande varietà di problemi da affrontare nel mondo odierno a livello ambientale, una panoramica completa su queste tecnologie sarebbe inevitabilmente molto lunga e complicata. In questo articolo, ci proponiamo di mostrare le tecnologie più famose e diffuse, suddividendole in base all’ambito preciso di applicazione.

Inquinamento dell’aria

Relativamente all’inquinamento atmosferico, la minaccia più grande da affrontare è rappresentata ovviamente dai famigerati gas serra, ovvero quei gas che contribuiscono ai fenomeni del cambiamento climatico e, in particolare, al riscaldamento globale. Tra questi, il più abbondante (circa il 75% dei gas serra totali emessi), nonché uno dei più pericolosi, è sicuramente l’anidride carbonica (CO2): al fine di ridurne la quantità in atmosfera sono state sviluppate diverse tecniche, come la cattura nel suolo, l’assorbimento in liquidi o l’adsorbimento su solidi. In questo campo, il vantaggio principale dei nanomateriali è la disponibilità di una superficie nettamente maggiore che nel caso dei materiali ordinari, il che comporta un adsorbimento migliore ed efficienze maggiori. Un primo esempio sono i nano-adsorbenti a base di calcio, spessi ricoperti per evitare l’aggregazione reciproca, oppure, per trattamenti a temperature minori, nanotubi alcalini o materiali a base di carbonio. Per altri gas serra come il metano si possono usare nanoparticelle di nickel, mentre per l’anidride solforosa (responsabile delle piogge acide) si usano nanoparticelle magnetiche.

Fig. 1 Emissioni di gas serra per settore d’origine (sinistra) e per tipo di gas (destra) (fonte: Ibrahim, R.K., Hayyan, M., AlSaadi, M.A. et al. Environmental application of nanotechnology: air, soil, and water. Environ Sci Pollut Res 23, 13754–13788 (2016). https://doi.org/10.1007/s11356-016-6457-z).

I nanomateriali possono essere usati anche per rimuovere dall’aria che si respira sostanze tossiche per il nostro organismo, le quali, nei peggiori casi, possono causare anche malattie o sintomi molto gravi. Esempi a tal proposito sono la rimozione di formaldeide tramite adsorbimento, oppure rimozione di bioaerosol (funghi, batteri e virus) con membrane metalliche o a base di nanotubi di carbonio.

Inquinamento del suolo

In questo caso, le sostanze inquinanti più pericolose sono sicuramente i metalli pesanti, presenti in valori eccessivamente elevati a seguito di attività antropogeniche locali, oppure per il rilascio di rifiuti non correttamente smaltiti. Queste sostanze sono particolarmente pericolose per l’ambiente e tutti gli esseri viventi, considerate la loro nocività e la scarsa degradabilità, e un loro eventuale recupero sarebbe molto utile a livello industriale, visto il loro valore economico. Esempi di materiali utilizzabili in questo caso sono le nanoparticelle metalliche a base di ferro o nickel, oppure composti a base fosforo. Per evitare che tali particelle si aggreghino a vicenda (perdendo dunque parte della loro efficacia), spesso polimeri organici (per esempio la cellulosa) vengono attaccati sulla loro superficie.

Fig. 2 Metalli pesanti (fonte: https://www.gefonutrition.it/come-depurarsi-dai-metalli-pesanti/).

Inquinamento dell’acqua

Infine, un altro campo di applicazione dove è fondamentale la rimozione di inquinanti è il trattamento di acque reflue, possibilmente per renderle nuovamente potabili. Anche qui, la pletora di tecniche tradizionali -quali flocculazione, coagulazione, filtrazione, sedimentazione ed altre ancora- non è in grado di garantire i livelli richiesti di efficienza e/o economicità. Ancora una volta, le nanotecnologie vengono in nostro soccorso, grazie anche alla loro versatilità di trattamento, ottenibile grazie a funzionalizzazione specifiche delle nanoparticelle.

Nei processi che si basano sull’adsorbimento, gli ossidi metallici nanometrici e nanotubi a base di carbonio hanno dimostrato ottimi risultati, rimuovendo coloranti, farmaci e pesticidi. In alternativa, i nanomateriali possono essere utilizzati anche nelle membrane, per poter purificare l’acqua senza utilizzare sostanze chimiche e quindi senza rilasciare sub-prodotti a loro volta potenzialmente dannosi. Nella cosiddetta nanofiltrazione, tipicamente usata per rimuovere ioni metallici e molecole organiche, si usano membrane nanoporose, ottenute funzionalizzando con nanostrutture specifiche i polimeri di base della membrana.

Fig. 3 Diversi tipi di filtrazione, con esempi di sostanze filtrate (fonte: https://mondoacqua.org/microfiltrazione/).

Infine, un processo molto interessante, che può anche essere accoppiato ad altri per migliorare l’efficienza di filtrazione globale o, ad esempio, per la produzione di energia elettrica, è la fotocatalisi, molto utile per rimuovere agenti patogeni e sostanze organiche. In questo processo, un catalizzatore, attivato con radiazioni di solito nell’UV, crea dei radicali, ovvero specie chimiche altamente reattive: tali radicali (soprattutto quelli a base di ossigeno e idrossido) provocano l’ossidazione di qualsiasi sostanza organica presente in acqua, distruggendola. Al momento, le nanoparticelle a base di ossido di titanio sono le più studiate in questo campo, in virtù di pregi quali la bassa tossicità, la stabilità fisico-chimica e il costo contenuto.

Tutti questi esempi sono solo una fetta delle tante applicazioni possibili a tema ambientale delle nanotecnologie, ma sono già delle chiare dimostrazioni della loro utilità ed efficacia. Certo, i nanomateriali presentano ancora alcuni difetti e limitazioni che devono essere superati, se si vuole che diventino davvero una realtà: ad esempio, la tendenza delle nanoparticelle a riagglomerarsi tra di loro, oppure la funzionalizzazione non sempre facile, o ancora i costi a volte elevati. Tuttavia, i vantaggi che esse presentano rispetto a tecniche più convenzionali sono innegabili, e sicuramente già nel prossimo futuro le nanotecnologie rivestiranno un ruolo importantissimo in una società che rimetta al centro di tutto il rispetto dell’ambiente.

Pietro Baldin

Per

Redazione NINE

FONTI

Ibrahim, R.K., Hayyan, M., AlSaadi, M.A. et al. Environmental application of nanotechnology: air, soil, and water. Environ Sci Pollut Res 23, 13754–13788 (2016). https://doi.org/10.1007/s11356-016-6457-z

Dove si inseriscono le nanotecnologie nella lotta al cambiamento climatico?

Vediamo come le nanostrutture trimetalliche si possano inserire nella “pipeline” della cattura e sequestro della CO2, incrementandone l’efficienza:

  • Contrastare il cambiamento climatico:

Una delle tecniche più promettenti per contrastare la minaccia rappresentata dal cambiamento climatico è la cattura di CO2. Il carbonio in eccesso presente nell’atmosfera può essere usato come fonte di reagenti chimici, o più in generale la produzione di composti usabili a livello industriale.

  • Combustibili ad emissione zero

Il carbonio così catturato può essere utilizzato per produrre combustibili sintetici ad emissione zero, che possono poi essere immagazzinati per lunghi periodi. Se il processo di produzione utilizza elettricità pulita, la cattura e il sequestro del carbonio possono offrire una soluzione per l’immagazzinamento di energia rinnovabile, in modo tale da accoppiarla con impianti eolici e fotovoltaici.

  • Cattura dell’anidride carbonica

La riduzione di CO2 per via elettrolitica (ECR) è il processo in cui l’elettricità viene usata per separare gli atomi di ossigeno e carbonio, a partire dalle molecole catturate di anidride carbonica. Atomi di idrogeno provenienti da molecole di acqua vengono in seguito usate per ottenere idrocarburi e alcool.

  • Catalizzatori trimetallici

La sfida principale dell’ECR è utilizzare il catalizzatore adatto allo sfruttamento del carbonio sequestrato: i composti ottenuti al termine del processo, infatti, dipendono dal catalizzatore usato, e diversi catalizzatori metallici danno diverse molecole. Ad esempio, lo stagno viene utilizzato per produrre acido formico, l’argento per il monossido di carbonio, e il rame per il metano, l’etilene o l’etanolo. Nel caso qui riportato, è stata ottenuta una nanostruttura trimetallica unica, a base di oro, argento e rame come catalizzatori.

  • Catalizzatore ottimizzato per la selettività del prodotto

Durante il design dell’eterostruttura, il ratio fra i tre metalli può essere alterato per ottimizzare l’azione catalizzatrice nella produzione di certi prodotti. In questo caso, la produzione di etanolo è stata massimizzata per poterlo utilizzare come carburante alternativo.

Questo post fa parte della nostra partnership con MATTER ed è stato tradotto dalla Redazione NINE.

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Articolo di riferimento: https://lnkd.in/eKeGd8vz

Sustainable Development Goal 7: Affordable and Clean Energy
Sustainable Development Goal 13: Climate Action

Autore articolo: Shubhadeep Majumdar

Autore traduzione: Pietro Baldin, per NINE

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